Nel mondo sempre più interconnesso in cui viviamo, mentre l’attenzione sulla diversità e l’inclusione continua a crescere, un aspetto spesso trascurato ma altrettanto cruciale è la neurobiodiversità. È un concetto che si riferisce alla varietà naturale e all’eterogeneità delle funzioni cerebrali e dei modi in cui le menti umane funzionano.

Questa prospettiva sottolinea che non esiste un unico modello “normale” di funzionamento cerebrale o di mente, ma piuttosto una vasta gamma di modalità e variazioni che sono tutte parte dell’ampio spettro della diversità umana.

Zak Kirchner, Head of Global Consumer Brand Research di Pinterest, affetto da ADHD, ha dichiarato durante un’intervista a Forbes (A Conversation With Pinterest’s Zak Kirchner On The Growing Need For Increased Emotional Intelligence + Neurodiversity To Drive Brand Growth) che è necessario focalizzare l’attenzione sul fatto che siamo in un mondo in cui la neurobiodiversità è bella e non fa più paura.

Come valorizzarla, dunque, anche da un punto di vista del marketing, ad esempio uscendo fuori dagli schemi della segmentazione classica degli utenti e cercando di comprendere i propri interlocutori? 

Come dare valore a quelle diversità neurologiche che il tempo e gli studi hanno dimostrato essere una risorsa?

Tradizionalmente, le aziende si sono affidate a segmentazioni demografiche per comprendere il loro pubblico di riferimento. Tuttavia, questa pratica spesso porta a semplificazioni e generalizzazioni, tralasciando la complessità delle persone che si nasconde dietro a tali categorie.

La neurobiodiversità ci ricorda che le persone sono uniche e complesse, con una vasta gamma di esperienze, valori, mindset e comportamenti, ma ancora di più che ascoltano, apprendono e sono ingaggiate in modo neurobiologicamente differente.

Se il cervello delle persone che vogliamo contattare processa informazioni in modo differente, coglie o non coglie alcuni messaggi e alcune modalità linguistiche, occorre provare a ripensare alle strategie per arrivare nel giusto modo. Kirchner nel suo intervento ci aiuta a comprendere come l’integrazione dell’Intelligenza Emotiva nel marketing sia lo strumento ideale che consente alle aziende e alle organizzazioni di stabilire un’autentica connessione con i clienti potenziali. Essa permette di comprendere le loro esigenze, desideri e aspettative in modo più approfondito, creando esperienze coinvolgenti, significative e personalizzate.

L’esempio di Pinterest incuriosisce: il brand ha avuto infatti un approccio innovativo verso l’Intelligenza Emotiva e la neurobiodiversità. Pinterest ha cercato innanzitutto di capire le persone che utilizzano la piattaforma, cercando di esplorare le loro esigenze e il ruolo che Pinterest giocava nelle loro vite. Questo ha significato superare le semplici segmentazioni demografiche e comprendere le persone come un tutto, offrendo una panoramica che tenga conto anche delle diversità neurologiche. Per far ciò, l’azienda integra le segmentazioni nei propri piani di ricerca, consci che un sondaggio di 15 minuti non è sufficiente per comprendere in toto il proprio pubblico. Inoltre, un passo innovativo che Pinterest suggerisce ai brand è quello di allineare gli input della segmentazione ai valori dell’azienda al fine di identificare gruppi di persone con la massima affinità naturale al marchio.

Allo stesso modo, lo stimolo è interessante perché sembra che i sei principi della filosofia di apprendimento di Six Seconds siano perfettamente calzanti per i progetti di comunicazione e rispondano a questa attenzione sul diverso funzionamento del cervello delle persone. Provate a usare queste sei domande per mettere alla prova i vostri messaggi, le vostre presentazioni e le vostre mail: sono un ottimo approccio per testare il livello di inclusività rispetto alla neurobiodiversità della nostra audience.

  • In che modo il mio “ricevente” da destinatario diventerà un protagonista della mia comunicazione?
  • Che cosa renderà pratico e applicabile il mio messaggio?
  • Quali sono i punti di “stress attivante” della mia comunicazione?
  • In che modo integro un apporto emozionale?
  • Ci sono delle domande che posso fare per coinvolgere al meglio?
  • Sto usando stili, linguaggi, toni e canali differenti?

A integrazione di questo approccio, anche il posizionamento del brand attraverso gli archetipi di marca, teoria codificata da Margaret Mark e Carol S. Pearson (The Hero and the Outlaw: Building Extraordinary Brands Through the Power of Archetypes, 2001) può facilitare l’identificazione di risposte a queste domande in modo coerente con gli obiettivi di marketing. Una volta identificato l’archetipo del brand, abbiamo infatti un riferimento chiaro che ci aiuta a tener conto della natura intima del cliente e, a specchio, del brand stesso. Infatti, la definizione dell’archetipo interpella il brand prendendo in considerazione non solo la visione del mondo del marchio e la modalità con le quali vuole attivarsi, ma anche i bisogni profondi ed emotivi dei propri clienti.

In qualche modo possiamo dire che il processo di posizionamento attraverso gli archetipi aiuta il brand ad acquisire un profilo più completo ed efficace di Intelligenza Emotiva, il che a sua volta, come ci ha mostrato Kirchner nel suo intervento, è una via anche per dare spazio e valorizzare la ricchezza della neurobiodiversità.

Giuliano Bottelli, Feliziano Crisafulli e Giuseppina Gifuni, Active Member EQ Biz

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