Le persone di talento, comunemente, sono considerate come delle persone dotate di doni o con capacità fuori dal comune. La convinzione che chi eccelle in qualcosa sia nato con un dono speciale è piuttosto radicata e si estende a diverse abilità fisiche e mentali: dallo sport alla musica, dalle scienze alle capacità interpersonali. Questo argomento da sempre attira l’attenzione degli studiosi. In particolare, lo psicologo Anders Ericsson ha passato oltre trent’anni a studiare grandi talenti, dalle stelle dello sport e ai prodigi della musica. Attraverso ricerche approfondite ha scoperto che il “dono innato” del talento non è altro che un mito, perché ogni abilità, per quanto speciale e unica, viene appresa grazie all’allenamento.

Il talento, infatti, opera tra la cosiddetta predisposizione naturale e le capacità e abilità acquisite. I “grandi campioni” sono persone che uniscono i due elementi: si allenano molto nel fare qualcosa, e sono fisicamente predisposti ad eccellere. In qualsiasi categoria, dallo sport alla fisica teorica, non basta allenarsi per diventare straordinari, serve anche una predisposizione fisica: per essere Michael Jordan occorre essere alti, per essere Einstein bisogna avere un cervello particolarmente sviluppato. Ma a parte prestazioni straordinarie dovute a questa combinazione, noi possiamo parlare per tutti i “comuni mortali” di talento quando siamo di fronte ad un’abilità acquista con allenamento ed esperienza positiva.

Il cervello si trasforma con l’allenamento, ma come ha fatto Ericsson a dimostrarlo? Ha confrontato la struttura e il funzionamento del cervello di diversi soggetti, prima e dopo un certo tipo di allenamento e in ogni ambito studiato si è scoperta la stessa cosa: un allenamento regolare genera alterazioni nelle aree del cervello che vengono stimolate dall’allenamento stesso.

Il cervello reagisce agli stimoli ricablandosi in modo tale da aumentare la propria capacità di svolgere le funzioni richieste.

Alla base di tutto c’è il neurone, la cellula ‘mattone’ con cui si costruiscono gli apprendimenti, che si tratti di imparare a leggere o ad andare in bicicletta.

Il cervello umano ne possiede quasi cento miliardi, organizzati in reti neurali, veri e propri circuiti su cui viaggiano informazioni di ogni tipo, in una dinamica di connessioni che si creano, si rinforzano o si indeboliscono a seconda delle sollecitazioni ricevute. Quando impariamo, la struttura del nostro cervello si modifica: i neuroni si ‘allungano’ per connettersi ad altri neuroni in modo più efficace, fino a formare delle ‘autostrade’ su cui le informazioni circolano sempre più velocemente. La regola di base è semplice: se una connessione (detta sinapsi, in linguaggio tecnico) è stimolata regolarmente, viene mantenuta, se viceversa non è utilizzata, viene soppressa.

E più un percorso è utilizzato più si creano sinapsi e si rinforzano quelle esistenti. C’è un altro meccanismo che rende questi percorsi efficaci e veloci: la mielinizzazione, il processo con cui gli assoni delle vie neurali importanti vengono ricoperti da una guaina isolante, la mielina, che li rende più veloci e stabili. Quindi qualsiasi tipo di ripetizione stimola la mielinazione che rafforza il segnale e lo trasmette più velocemente fra i neuroni.

Tutto ciò concorre a formare i “talenti” delle persone: abilità agite automaticamente perché allenate, sperimentate ed efficaci.

Redazione EQ Biz

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Declinare l’intelligenza emotiva per raggiungere obiettivi di team e aziendali attraverso l’individuazione dei talenti dei singoli e l’incremento delle capacità collaborative dei gruppi di lavoro.

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